Ti è mai capitato di mangiare un gelato e di avere un improvviso attacco di emicrania? Si chiama sindrome del cervello congelato e, a dispetto del nome che ricorda fantascientifiche ibernazioni, non è una patologia grave: «In gergo medico si parla di ganglioneuralgia sfenopalatina, un’espressione complicata che gli inglesi hanno semplificato in brain freeze: interessa il 31 per cento della popolazione generale, circa una persona su tre, ed è più frequente in chi soffre abitualmente di emicrania, dove la percentuale sfiora il 90 per cento», spiega la dottoressa Lucia Borsotti, neurologa del CeMeDi di Torino. «Inoltre, è piuttosto comune nei bambini per via del suo meccanismo che coinvolge le fibre nervose, ancora poco “allenate” in tenera età».
Cos’è la sindrome del cervello congelato
Localizzato dietro il palato, tra il naso e i seni nasali, il ganglio sfenopalatino è un voluminoso insieme di nervi che talvolta può rispondere in maniera esagerata a uno stimolo freddo. «Il problema nasce soprattutto quando lo stimolo viene ingerito, come nel caso di un gelato, ma può insorgere anche se viene inalato, per esempio se “respiriamo” dell’aria fredda anomala, come quella di una cella frigorifera», illustra la dottoressa Borsotti. «A quel punto vengono stimolati dei nocicettori, cioè dei recettori del dolore, che trasmettono il loro “messaggio” al ganglio sfenopalatino: quest’ultimo si attiva e coinvolge tre nervi, il trigemino, il vago e il glossofaringeo, che trasportano la sensazione a livello cerebrale, scatenando un dolore rapidissimo e molto intenso».
Esiste anche un’altra teoria, legata alla sensibilizzazione delle arterie. Di fronte a un insulto, come uno stimolo freddo, l’arteria cerebrale anteriore gioca in difesa: prima si dilata per portare calore grazie a un maggiore apporto di sangue al cervello (vasodilatazione) e poi si restringe nuovamente (vasocostrizione), creando dolore.
Quali sono i sintomi
La caratteristica della sindrome del cervello congelato è un dolore trafittivo, localizzato in mezzo alla fronte e alle tempie, che dura da trenta secondi a un minuto, per poi regredire spontaneamente. «Viene avvertito come una pugnalata intensa, ma non si corre alcun pericolo, né c’è il rischio che possa degenerare, né si avvertono sintomi correlati, come nausea, picchi ipertensivi, sensazione di svenimento o problemi di vista», tranquillizza la dottoressa Borsotti.
«Ovviamente, si tratta di un problema molto diverso rispetto alla cefalea a grappolo: anche qui il dolore somiglia a una pugnalata rovente, ma le caratteristiche sono completamente diverse e la durata può durare da quindici minuti fino a due ore. Per di più, affinché si possa parlare di sindrome del cervello congelato, è fondamentale che il paziente sia appena stato esposto a uno stimolo freddo. In caso contrario, bisogna valutare altri disturbi».
Come si evita il disturbo
Non trattandosi di una malattia, la ganglioneuralgia sfenopalatina non richiede un trattamento medico. «Per evitarla, bisogna solo avere alcune accortezze: la principale è quella di deglutire lentamente i cibi molto freddi, abituando pian piano la parte superiore della bocca alla temperatura più bassa, ma ci sono studi scientifici che hanno messo in evidenza l’utilità di portare la lingua al palato, premendo con forza, per far regredire il disturbo», suggerisce l’esperta. «Avere qualche precauzione è utile soprattutto in chi soffre di emicrania cronica, perché alcune ricerche indicano che lo stimolo freddo alla base del brain freeze può scatenare un attacco».
Fonte: starbene.it;
autrice: Paola Rinaldi;